L’INTELLIGENZA È FIGLIA DELLE EMOZIONI

Se ritieni di essere una persona molto emotiva, molto empatica, ma con un basso Q.I. (quoziente d’intelligenza), puoi ritenerti una persona felice e realizzata.

Seguimi nel ragionamento – frutto di anni di studi neurobiologici – così ti spiego il perché.

L’intelligenza razionale è la conseguenza evolutiva dell’intelligenza emotiva.

La questione è molto antica. Già nel 348 a.C., nella sua ”Etica nicomachea” – l’indagine filosofica di sulla virtù, la personalità e la vita retta – la sfida lanciata da Aristotele era quella di controllare la crescita emotiva con l’intelligenza.

Le passioni, quando ben esercitate, hanno una loro saggezza. Esse guidano il nostro pensiero, i nostri valori, la nostra stessa sopravvivenza. Tuttavia possono facilmente “impazzire” e questo, purtroppo, accade fin troppo spesso.

Come ben capiva Aristotele, il problema non risiede nello stato d’animo in sé, ma nell’appropriatezza delle emozioni e della loro espressione.

L’INTELLIGENZA NELLE EMOZIONI

Il punto, quindi, è come portare l’intelligenza nelle nostre emozioni e, di conseguenza, come portare la premura per l’altro nella nostra vita di relazione.

Quando, nel bene o nel male, le emozioni prendono il sopravvento, l’intelligenza non può essere di alcun aiuto.

Come scrisse Freud nel suo “Disagio della civiltà”, la società umana ha dovuto affermarsi partendo da uno stadio, nel quale non si fanno regole per arginare le ondate travolgenti degli eccessi emozionali, troppo liberi di manifestarsi.

Nonostante questi vincoli sociali, spesso le passioni sopraffanno la ragione. Questa caratteristica della natura umana, deriva dall’architettura neurale su cui si fonda la vita mentale.

Se parliamo in termini di biologia dei fondamentali circuiti neurali dell’emozione, si deve ammettere che, quelli di cui siamo dotati, sono i meccanismi rivelatisi più funzionali nelle ultime 50.000 generazioni umane. Sì, hai letto bene, cinquanta mila generazioni.

In breve, troppo spesso, ci capita di dover affrontare i dilemmi postmoderni con un repertorio emozionale adatto alle esigenze del Pleistocene!

LE EMOZIONI IMPLICANO LA TENDENZA ALL’AZIONE

La radice della parola emozione è il verbo latino MOVEO “muovere”, con l’aggiunta del prefisso “e-” (“movimento da”), per indicare che, in ogni emozione, è implicita una tendenza ad agire.

Il fatto che le emozioni spingano all’azione è ovvio soprattutto se si osservano gli animali o i bambini.

E’ solo negli adulti civili che troviamo tanto, troppo spesso quella che, nel regno animale, si può considerare una grande anomalia, ossia la separazione delle emozioni che, in origine, sono impulsi ad agire dalla naturale reazione corrispondente.

LE EMOZIONI INDUCONO LE ATTIVITÀ FISIOLOGICHE DEL CORPO

Studiando le emozioni si è visto che, ciascuna di loro, ha un ruolo unico rivelato dalle  proprie caratteristiche biologiche distintive.

Con i nuovi metodi di cui può avvalersi la scienza per scrutare nel corpo e nel cervello, i ricercatori stanno scoprendo ulteriori dettagli fisiologici sul modo in cui, ciascuna emozione, prepara il corpo a un tipo di risposta molto diverso.

Proviamo ad esaminare le emozioni più comuni.

Se abbiamo PAURA, il sangue fluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio, quelli delle gambe, rendendo così più facile la fuga e, al tempo stesso, facendo impallidire il volto, momentaneamente meno irrorato. Ecco da dove viene la sensazione che si geli il sangue. Allo stesso tempo il corpo si immobilizza, come congelato, anche solo per un momento, forse per valutare se non convenga nascondersi. I circuiti dei centri cerebrali, preposti alla regolazione della vita emotiva, scatenano un flusso di ormoni che mette l’organismo in uno stato generale di allerta, preparandolo all’azione e fissando l’attenzione sulla minaccia che incombe per valutare quale sia la risposta migliore.

Nella FELICITA’, uno dei principali cambiamenti biologici sta nella maggiore attività di un centro cerebrale che inibisce i sentimenti, ne aumenta la disponibilità di energia, insieme all’inibizione dei centri che generano pensieri angosciosi. Tuttavia, a parte uno stato di quiescenza che consente all’organismo di riprendersi più rapidamente dall’attivazione biologica causata da emozioni sconvolgenti, non si riscontrano particolari cambiamenti fisiologici. Questa configurazione offre all’organismo un generale riposo e lo rende, non solo disponibile ed entusiasta nei riguardi di qualunque compito esso debba intraprendere, ma anche pronto a battersi per gli obiettivi più diversi.

Nella SORPRESA, il sollevamento delle sopracciglia consente di avere una visuale più ampia e di far arrivare più luce sulla retina. Questo permette di raccogliere un maggior numero di informazioni sull’evento inatteso, contribuendo alla sua comprensione e facilitando la rapida formulazione del migliore piano di azione.

In tutto il mondo, l’espressione di DISGUSTO, è la stessa e invia il medesimo messaggio, ossia qualcosa che offende il gusto olfattivo, anche metaforicamente. Come già aveva osservato Darwin nell’espressione facciale del disgusto, il labbro superiore sollevato lateralmente, mentre il naso accenna ad arricciarsi, indica il tentativo primordiale di chiudere le narici, colpite da un odore nocivo o di sputare un  cibo velenoso. 

La TRISTEZZA ha la funzione fondamentale di farci adeguare ad una perdita significativa, ad esempio a una grande delusione o alla morte di qualcuno che ci era particolarmente vicino. Essa comporta una caduta di energia ed entusiasmo verso le attività della vita, in particolare per le distrazioni e i piaceri e, quando diviene più profonda e si avvicina alla depressione, ha l’effetto di rallentare il metabolismo.

La chiusura in se stessi che accompagna la tristezza, ci dà l’opportunità di elaborare il lutto per una perdita o per una speranza frustrata, di comprendere le conseguenze di tali eventi nella nostra vita e, quando le energie ritornano, di essere pronti per nuovi progetti. Può darsi che, un tempo, questa caduta di energia servisse a tenere i primi esseri umani vicini ai loro rifugi e, quindi, al sicuro quando erano tristi e perciò più vulnerabili.

Ecco perché, prima di dedicarci all’apprendimento razionale, dobbiamo imparare ad usare e gestire il nostro immenso mondo emotivo. Non è un caso, infatti, che le emozioni abbiano determinato l’intera evoluzione umana.


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