Ti sei mai accorta o accorto che la tua mente produce un chiacchiericcio mentale a volte automatico, a volte volontario?
Ciò a cui facciamo riferimento quando parliamo di “self-talk”, nella crescita personale, è solo il modo volontario di parlarsi. Non è il solo notare come tendiamo a parlarci.
Sottolineo questa differenza perché è molto importante ribadire che, sia come viene utilizzato e sia come è stato evidenziato in una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica “The Journal of Personality and Social Psychology”, è qualcosa che spesso si fa volontariamente.
In altri articoli ho parlato di come sia fondamentale la consapevolezza del nostro dialogo interiore (leggi l’articolo), il notare il nostro modo di parlarci, perché sono accorgimenti sempre utilissimi.
Dobbiamo però evitare di vedere il nostro modo naturale di farlo come se fosse “sbagliato”.
Certo, possiamo migliorarci, seguendo diversi consigli legati alla psico-linguistica o alla neuro-linguistica e, con un lavoro approfondito, sperimentare modi differenti, ma il segreto è come sempre evitare di cercare di controllarsi!
DOBBIAMO ACCOGLIERE OGNI STATO EMOTIVO E OGNI NOSTRO DIALOGO

Il pericolo più grande, che si nasconde dietro molti esercizi di crescita personale che ci sono in giro, è proprio quello di iniziare a pensare di dover o poter controllare i nostri pensieri.
In realtà questa è un’illusione che rischia di fare davvero male alle persone. Se provi a controllarti volontariamente in qualsiasi ambito, rischi parecchio.
E’ chiaro che esistono compiti che richiedono una dose di controllo maggiore, ma tutti hanno alla base una certa quantità di automatismo.
Ad esempio in questo momento stai leggendo. Per leggere devi poter vedere, conoscere la lingua, distinguere diversi casi linguistici (plurale/singolare, maschile/femminile ecc.) e in più devi volontariamente metterti li e seguire questi segni grafici sullo schermo.
Ora se ci pensi bene la maggior parte delle cose che fai mentre mi leggi è automatica, si serve la tua intenzionalità nel leggere ma è qualcosa di molto piccolo rispetto a tutto ciò che devi poter fare “in automatico”.
ABBIAMO AUTOMATISMI APPRESI DI CUI NON CI RENDIAMO CONTO
Ora, per farti capire meglio, ti chiedo di raccontarmi cosa hai mangiato o fatto ieri sera. Pensaci per qualche istante e, se puoi, prova a dirlo ad alta voce.
Scommetto che è stato facilissimo, non tanto ricordare ma descriverlo.
Ora ti chiedo di ripetere l’esperimento ma, questa volta, omettendo la vocale “a” da ogni parola. Ripeti cosa hai fatto ieri sera senza mai dire la lettera “a”.
Com’è questa volta?
Scommetto che è stato molto più difficile. Il perché è semplice, ti ho costretto a disarcionare il tuo automatismo linguistico per piegarlo ad una stupida regola.
Questo è ciò che succede quando cerchi di controllare i tuoi processi interiori, tutto rallenta e funzioni più lentamente. Questo succede perché ci illudiamo di avere più “controllo”, ci rasserena, ma non è così.
E in realtà dovrebbe rasserenarci molto di più sapere che siamo ormai spontaneamente in grado di parlare, leggere e fare altre migliaia di cose.
NON POSSIAMO CONTROLLARE I NOSTRI PENSIERI, MA POSSIAMO IMPARARE A NOTARLI E A INFLUENZARLI

Evita quindi di usare queste strategie come se “potessi controllare i tuoi pensieri”, perché non è così, ma di certo puoi influenzarne la traiettoria.
Anche tu puoi apprendere e migliorare come utilizzare al meglio il tuo self-talk per motivarti, per darti carica e motivazione, per condizionarti ad una certa performance, ma solo se ti alleni costantemente e con le giuste tecniche e strategie.
Il dialogo interiore funziona un po’ come l’ “effetto priming”, le parole che ti dici e come le dici influenzano le tue percezioni successive.
PRIMING E MINSET
Le ricerche sul mindset e su come attivarlo in modo inconsapevole nei soggetti, avvengono quasi sempre con un PRIME, ossia una frase, immagine o suono che aumentano l’accesso ad informazioni specifiche.
Quando usi volontariamente il tuo dialogo interiore sfrutti questo potente e naturale effetto del cervello. Non è suggestione, ma un modo per favorire l’accesso a un tipo di memorie funzionali.
Dato che la memoria è “stato dipendente”, cioè è sempre legata ad uno “stato mentale” ecco che, una semplice frase, ripetuta dentro di te, può farti accedere più facilmente ad un mindset potenziante. E’ per questo che devi notare cosa ti ripeti spesso.
LA LINGUISTICA
La linguistica del tuo self-talk ha questo scopo, quello di facilitare l’accesso ad informazioni che possono essere utili per una determinata situazione. Detto in parole semplici, è un modo di utilizzare il linguaggio che riesce ad essere maggiormente efficace su noi stessi e anche sugli altri.
Se non hai competenze in quel campo, ti consiglio di approfondire le tecniche con l’aiuto di esperti, perché solo così la tua mente può vedere situazioni nuove e la tua vita può cambiare totalmente!
Se invece hai anche solo un minimo di risorse, puoi accederci con maggiore facilità anche attraverso il tuo dialogo interiore, ma devi allenarlo nel modo giusto e con una persona che ti guidi in questo lavoro, altrimenti potresti non avere nessun tipo di risultato funzionale.
PERCHE’ E’ IMPORTANTE USARE LA SECONDA O LA TERZA PERSONA SINGOLARE QUANDO SI PARLA A SE’ STESSI
Quando ci parliamo, anche se ci chiamiamo per nome, è importante utilizzare la seconda o meglio ancora, la terza persona singolare. Lo so, non è facilissimo passare da: “ce la faccio” a “Valerio puoi farcela” a “Valerio può farcela”.
Ci sono cascato e ci casco spesso anche io (che mi chiamo appunto Valerio!), proprio perché a tutti viene più facile dire “ce la faccio” o “Valerio puoi farcela”.
Eppure la ricerca indica chiaramente che è “la terza persona” e non “la seconda” a dare i risultati migliori.
Questo perché, quando ti parli “in terza persona” ottieni una sorta di distanziamento da quel pensiero. Qualcuno potrebbe dire: “sì, ma allo stesso tempo è come se stessi motivando un’altra persona”.
Ed è esattamente su questo filo che si gioca la partita, sul confine tra abilità auto-regolatorie e consapevolezza, il sapere che stai usando una tecnica e non illuderti di essere “il capo” che comanda “un servo”.
SERVO E PADRONE
I nostri contenuti interiori, dialogo interno (involontario) compreso, sono i nostri “servi”. Dato, però, che siamo coscienti di questi e dato che riusciamo, per così dire, “a controllarli”, ci illudiamo che tali contenuti siano “i padroni”.
Se vedi una bella donna per strada ed il tuo cervello ti dice “saltale addosso” mica lo fai (o un bell’uomo per le donne). Almeno spero che tu non lo faccia!
Questo servo è un macchinario complesso che ci aiuta a guidare le nostre azioni, ma non è il decisore finale di queste azioni. Crederlo porta numerose problematiche alle quali oggi siamo tutti più o meno sottoposti, come ansia, depressione, senso di inferiorità ecc.
Perché continuiamo a confrontarci con “il servo” e non con il padrone.
A tal proposito ti consiglio un libro di un noto psichiatra Iain Mcgilchrist che si chiama “The master and his emissary“.
IL SELF-TALK INTENZIONALE
Quando ti parli volontariamente mentalmente per darti carica, per dirigere le tue azioni, devi sempre tenere a mente che ciò che stai facendo è sfruttare il tuo “servo”.
Per citare Maxwell Maltz e la sua nota psicocibernetica potremmo dire che, ogni volta che ti parli volontariamente dentro per ottenere un risultato comportamentale, stai usando un “servo meccanismo”.

Stai attivando quel “prime” che ti aiuta ad avviare tutta una serie di processi interiori utili al tuo scopo. Non è sicuro al 100% che si attiveranno perché si tratta di un “servo che suggerisce” e non di un padrone che comanda.
Non tutti conoscono la metafora dell’auriga di Platone, dove la nostra mente viene descritta come un carro trainato da 2 cavalli e gestiti da un cocchiere (l’auriga appunto).
Tale metafora fu ripresa in tempi più recenti anche da Freud, che vedeva i due cavalli come rappresentazione delle istanze psichiche di “Es” e “Super-io”. E il povero cocchiere come “l’Io” schiacciato da queste due forze.
Il cocchiere è quello che può dire ai cavalli dove andare può, con la sua forza ed esperienza, instradarli dove desidera. A loro volta, però, i cavalli però possono decidere di andare dove gli pare!
Così nascono i conflitti tra cocchiere e i due cavalli, che rappresentano le istanze inconsce.

Ma di chi è la carrozza?
In entrambe le metafore sia Freud che Platone non ci parlano del “proprietario della carrozza”. Ok magari entrambi intendevano un cocchio senza passeggeri ma, a meno che non si trattasse di una competizione sportiva (cosa presente anche nell’antica Grecia), è chiaro che c’è sempre “un passeggero”. E nell’antichità era quasi ovvio che quel “passeggero” fosse il padrone o comunque un nobile in grado di decidere il bello ed il cattivo tempo, cioè le strade ed i percorsi.
Per conoscere maggiormente questo “padrone”, quindi, la prima cosa da fare è capire che quel cocchiere sta solo eseguendo degli ordini. Sì, è lui che li mette in atto ma sta solo “eseguendo” come un “servo meccanismo”.
LA CONSAPEVOLEZZA
Per poter utilizzare al meglio il “servo-meccanismo, la chiave è proprio la nostra consapevolezza.
Questa è utile per diverse cose:
- per notare come naturalmente tendi “a parlarti”
- per capire come ti fa sentire quel tuo “modo di parlarti”
- per riuscire a notare che quando “ti parli male” quelle parole non sono obblighi, ma semplici indicazioni che puoi imparare a non seguire
- infine può servirti anche per capire quando è il momento più adatto per darti da solo “una spinta gentile” che ti aiuti ad entrare in quello specifico mindset.
Insomma, ancora una volta, troviamo spazio alla consapevolezza o meglio, è lei che ci fa comprendere che dobbiamo darle spazio.
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